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MARIA SABINA LEMBO- Avvocato penalista e tributarista, Giornalista pubblicista iscritta all'Albo, Autore di pubblicazioni giuridiche, Relatore e chairman in convegni giuridici,Fondatore e Responsabile giuridico di www.giuristiediritto.it

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mercoledì 25 maggio 2011

IMPUTABILITA' E DISTURBI DELLA PERSONALITA'

IMPUTABILITA' E DISTURBI DELLA PERSONALITA'

a cura dell' Avv. MARIA SABINA LEMBO

Occorre premettere, innanzitutto, che l'imputabilità e la colpevolezza operano su piani diversi ed esprimono concetti diversi atteso che il fatto del non imputabile è un fatto tipico, antigiuridico ma non colpevole.
Allo stesso modo l'imputabilità e la capacità di intendere e di volere sono concetti identificabili, ma non perfettamente sovrapponibili. Non vi è piena rispondenza tra capacità naturale e assoggettabilità alla pena in quanto, ad esempio, può rispondere del reato anche chi al momento della commissione del fatto era incapace per aver con dolo o colpa procuratosi tale stato.
L'imputabilità è uno status ovvero un modo d'essere dell'individuo che deve sussistere nel momento in cui il soggetto ha commesso il reato.
Per capacità di intendere si fa riferimento alla capacità di comprendere il significato del proprio comportamento (momento intellettivo).
Per capacità di volere si intende la capacità di determinare liberamente il proprio comportamento (momento volitivo).
La capacità di intendere e di volere deve essere valutata in stretta relazione al singolo fatto concreto commesso e al tempo in cui esso è stato commesso.
In caso di dubbio sulla capacità di intendere e di volere, il giudice, qualora non lo risolva, deve pronunciare sentenza di assoluzione, così come prevede espressamente l'art 530 c.p.p.
Diventa fondamentale determinare il concetto di infermità e verificare se debba intendersi esclusivamente un'anomalia da un punto di vista organico o se invece possa anche parlarsi di anomalia psico-patologica e quindi non sia necessario sussumere il concetto di anomalia psichica nel novero delle rigide e predeterminate categorie nosografiche.
Nello specifico, a fronte di un orientamento restrittivo (risalente e consistente) volto a considerare rilevanti solo le malattie mentali in senso stretto ovvero le gravi psicosi acute e croniche accertate clinicamente e le insufficienze cerebrali originarie o sopravvenute di carattare organico o anatomico (Cass. pen. n.16940/2004) si è sviluppato un orientamento minoritario che ritiene che il concetto di infermità recepito dal codice penale sia più ampio di quello di malattia e che quindi vi possono essere soggetti incapaci di intendere e volere, seppure non malati in senso stretto. In sostanza vi potrebbero rientrare anche dei soggetti affetti da nevrosi e psicopatie, nel caso che queste si manifestino con elevato grado di intensità (Cass. pen. n.1953/2003).
Sul punto ha fatto finalmente chiarezza la sentenza delle Sezioni Unite del 25 gennaio 2005 n. 9163. Secondo i Giudici di Legittimità «non interessa tanto che la condizione del soggetto sia esattamente catalogabile nel novero delle malattie elencate nei trattati di medicina, quanto che il disturbo abbia in concreto l’attitudine a compromettere gravemente la capacità sia di percepire il disvalore del fatto commesso, sia di recepire il significato del trattamento punitivo».
La sentenza de quo si è pronunciata optando per una nozione di “infermità”, di cui agli artt. 88 e 89 c.p., tale da abbracciare anche i disturbi della personalità, sempre che essi siano di intensità idonea ad influire sulla capacità di intendere e volere, nonché abbiano determinato il soggetto alla commissione del reato. Motiva la sentenza che “ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, rientrano nel concetto di “infermità” anche i “gravi disturbi della personalità”, a condizione che il giudice ne accerti la gravità e l’intensità, tali da escludere o scemare grandemente la capacità di intendere o di volere, e il nesso eziologico con la specifica azione criminosa”.
Non assumono rilievo ai fini della imputabilità le altre “anomalie caratteriali” e gli “stati emotivi e passionali”, che non rivestano i suddetti connotati di incisività sulla capacità di autodeterminazione del soggetto agente.
Cosa sono i disturbi della personalità? A proposito di disturbi della personalità si esprime il più diffuso manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il DSM, secondo cui i disturbi della personalità comprendono il disturbo paranoide di personalità, quello schizoide, quello schizotipico, quello antisociale, quello bordeline, quello istrionico, quello narcisistico ecc..
Il DSM per tutte le altre ipotesi rimanda anche ad una categoria residua, quella del “disturbo di personalità non altrimenti specificato”, nella quale andrebbero ricondotte le alterazioni di funzionamento della personalità che non soddisfano i criteri per poter rientrare nella categoria dei disturbi della personalità.
Tali disturbi rientrano, sostanzialmente, nella ampia categoria delle psicopatie, da tenere ben distinta con quella delle psicosi.
La psicosi consiste, infatti, in una vera malattia, tale da alterare i processi intellettivi o volitivi, la psicopatia si concreta in una mera anomalia del carattere , non incidente sulla sfera intellettiva o della volontà.
La Cassazione ha però ancorato il giudizio sull’esclusione dell’imputabilità derivante da vizio di mente a due presupposti: 1) gravità, rilevanza e consistenza dei disturbi della personalità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e di volere; 2) nesso eziologico tra distrurbo mentale e fatto criminoso che dovrà accertare il giudice.
Secondo la successiva sentenza n. 16574 del 2005 della Cassazione Penale : “ai disturbi della personalità può esssere attribuita un'attitudine a proporsi come causa idonea ad escludere o a scemare grandemente la capacità di intendere e di volere del soggetto agente; principio che si pone in perfetta consonanza col disposto dell’articolo 85 Codice penale e con l'orientamento costituzionale.
I disturbi della personalità devono però essere di consistenza, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e volere; essi, infatti, come in genere quelli da nevrosi e psicopatie, quand’anche non inquadrabili nelle figure tipiche della nosografia clinica iscrivibili al più ristretto novero delle malattie mentali possono costituire infermità anche transeunte, ai fini degli articoli 8 e 89 del Codice penale, ove determinino lo stesso risultato di pregiudicare totalmente o grandemente la capacità di intendere e volere”.
L'orientamento della Cassazione a Sezioni Unite ha trovato conferma in un ulteriore più recente asserto n. 8282 del 2006 in cui i giudici di legittimità affermano che il disturbo antisociale della personalità può rientrare nella nozione di infermità e può incidere, escludendola o scemandola grandemente, sulla capacità di intendere e di volere.

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